Nessun giorno è uguale, ma ci sono giorni meno uguali degli
altri.
Sono a Milano, in ospedale, dall’alba, per un intervento a
mio figlio. Ormai nulla di grave, è il terzo di una serie che si annuncia lunga
e cadenzata, in qualche modo routinaria, forse addirittura rassicurante. Eppure
le emozioni e le preoccupazioni genitoriali, tanto naturalmente facili da
gestire per far fronte rassicurante con figli compagna amici (c'è qualche cosa di chimico in quella forza inaspettata che ti trovi addosso),
hanno poi le dimensioni di un mare intimo di incerta e privatissima
navigazione. Tra un prelievo e un’attesa sono in quel mare aperto quando arriva
di buon mattino la telefonata di Anna: Roberto è morto. Il maestro, la persona
che per prima, dopo Gualtiero e Barbara, mi accolse con seria e disponibile
apertura nel mondo dei libri per ragazzi. Era una mattina di quindici anni fa,
la libreria era allora in via Unione, e lì qualche mese dopo feci il mio primo
intervento pubblico. Dentro tremavo e i suoi occhi, forse leggendo il disagio
del venticinquenne, mi fecero àncora. Grazie Roberto. Erano i primi due passi
di un sentiero che ho avuto la fortuna di condividere.
Non sono bravo, nessuno è bravo, di fronte al lutto, e sto
in mare aperto.
Poi riaccendo il telefono, tra un elettrocardiogramma e
un’attesa, c’è un messaggio di Gloria: Andrea è morto. Se c’è un altrove oggi lì
hanno bisogno di persone che ci mettano pensiero e passione, ne hanno chiamate
due di quelle toste. A me mancheranno qui, ma so dove cercarli: nei libri e
nelle persone, nelle storie non conformi, nel non temere la parte del torto,
nell'ascoltare oltre che nel dire, nel posto dove ci sono le lotte di senso e lunga durata.
Sono passati due giorni e sono a Genova, mio figlio corre
allegro già dimentico delle medicazioni. Io sto in mare aperto.
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