Antefatto:
gennaio 2014, esce in volume un mio racconto di fantascienza, si chiama
“Missione Vesta” e viene da lontano. Al centro della narrazione c’è un
manufatto misterioso e alieno, “una specie di noce grande quanto il
Colosseo, di compatto metallo nero solcato da spessi arzigogoli e striature di
un colore tra l'oro e il rame”, probabilmente un vascello interstellare
vecchio di 500.000 anni.
Fine
maggio 2014. Di ritorno da un giro di incontri e presentazioni nel sud, mi
trovo alla stazione ferroviaria di Pisa incastrato in due ore di ritardo delle
solite meritorie ferrovie nazionali. Ho terminato le letture portate in
viaggio. Non ho nulla da leggere e l’estate è vicina, così vado all’edicola e
ritorno a un vecchio costante mai abbandonato rituale della bella stagione:
Urania. Scelgo, sbirciando quarta, “Un mondo per gli Artefici” di Charles
Sheffield, è il n. 1606 di Urania, la collana Mondadori da edicola consacrata
alla fantascienza.
Un
libro a me finora ignoto, uscito in originale nel 1990. Da noi ora per la prima
volta, mi pare di capire. Non ho mai letto nulla di Sheffield, ma scopro che il
libro si lega ad altri dell’autore.
La
storia, il tempo, l’universo, la misura della narrazione; tutto è lontanissimo
da “Missione Vesta”. Eppure. Quante consonanze tra il relitto di Vesta, opera
dei Vagienni primi presunti
esploratori del sistema solare, del mio libro e i Manufatti degli
Artefici di Sheffield. La lettura mi diverte, anche in questa chiave. In lingue
e tempi diversi, con destinatari e lunghezze differenti, abbiamo raccontato un
universale, che forse non a caso pervade l’immaginario umano.
Disclaimer
finale: tranquilli, non credo nei paleoastronauti.
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