giovedì 25 giugno 2009

'Paladin' di Etienne Zerah

(C) Etienne Zerah - Sneaker Saint

Il 24 giugno, nell'ambito del Genova Pride 2009, abbiamo presentato con la gallerista Viola Gailli la mostra 'Paladin' dell'artista visivo Etienne Zerah. La mostra ha due sedi espositive la galleria A modo mio e la galleria Violabox, in quest'ultimo spazio ci sono le opere più recenti. Per l'incontro pubblico ho scritto una breve nota.

Sguardo su ‘Paladin’ di Etienne Zerah
di Anselmo Roveda

Nel mio lavoro mi occupo di narrazioni. E quindi essenzialmente di parole, dette e scritte. Ma è proprio nel lavoro della cronaca e della critica letteraria che devo mettermi, occupandomi sovente di albi illustrati, a guardare e leggere immagini. Figure, come le chiama Antonio Faeti. Cogliendo l’indipendenza – eppure il legame indissolubile - della narrazione per immagini da quella per parole. Un altro linguaggio, che oggi, nella contemporaneità – dopo tante immagini didascaliche - non chiosa o spiega ma semplicemente e meglio ‘racconta’ pienamente, parallelamente, fianco a fianco ma – come detto all’inizio – indipendentemente. Una forza, quella del narrare e suggestionare per immagini, tale che sempre più spesso anche nei libri si sperimenta l’assenza della parola. Esempio alto e recente è il Robinson Crusoe (Media Vaca, Valencia 2008) solo per immagini realizzato dall’artista Ajubel. Libro insignito del Bologna Award 2009.

Di fronte all’opera di Etienne Zerah arrivo però disarmato dei miei soliti, confidenziali, amati strumenti critici legati alla lingua e alla parola. Qui siamo nel visivo. Puro. Esclusivo. Esplicito. E arrivare disarmati è un vantaggio. Ci si può lasciare sorprendere dall’opera.

Etienne Zerah arriva da studi artistici formali e da un percorso passato giocoforza dalla pittura, ma la scelta – ormai data e consolidata – della propria forma espressiva arriva con la fotografia, con la composizione fotografica. Zerah non usa la macchina fotografica in modo esclusivo, rendendo ipertecnicistico il suo impiego o esaltando il risultato puro dello sviluppo; la utilizza invece e piuttosto come strumento, sì tecnico, ma preliminare. Non è per lui un tabù intervenire a posteriori col fotoritocco a computer, anzi è prassi della creazione artistica. La macchina fotografica quindi come strumento tecnico che offre la possibilità di fissare una scena. Alcuni scatti paiono le pose dei divi teatrali nelle cartoline d’inizio Novecento o le pose di studio dell’illustratore salgariano Alberto Della Valle che prima di mettersi a dipingere costringeva famigliari e modelli a interpretare arrembaggi e lotte con tigri e orsi (immaginari, ça va sans dire), il suo lavoro è stato indagato dalla storica dell’illustrazione Paola Pallottino in L’occhio della tigre (Sellerio, Palermo 1994).

E poi c’è, oltre lo scatto, quello che conta: la composizione. A computer. Soprattutto quella. Dettagli, sfondi, ritocchi, colori. Con uno sguardo che pur restando d’insieme talvolta si declina nel lavorio pixel per pixel a incidere sulla composizione finale, in modo non dissimile dallo scultore che lavora sulla figura intera dell’opera ma deve tener conto d’ogni granello di materia sottratta. Zerah ha un vantaggio e una responsabilità: può aggiungere materia. Tutti i ‘livelli’ di composizione dei programmi di fotoritocco si compattano, anche nelle trasparenze, e pure l’uso delle scritte (rare) ammicca alla grafica e non all’esigenza testuale. Il testo è l’insieme dell’immagine dell’opera, e i suoi dettagli.
La fotografia e l’arte visiva, come detto, non sono il centro dei miei interessi critici. I riferimenti a immagini che in qualche modo precedono o informano l’opera di Zerah non posso fino in fondo coglierli e scioglierli: trovo però chiara una linea di rimandi a Mapplethorpe, a LaChapelle, forse a LaBruce. Esplicito è poi il giocare con alcuni degli stilemi surrealisti – tanto che l’armonia dell’opera fotografica di Zerah, seppur accentuatissima, non esige resa realistica – e il riferimento al linguaggio della grafica, della pubblicità, in certo senso alla sintassi postmoderna del fashion, dello star system.

Sono gli eccessi quotidiani, anche dell’uso dell’immagine, di questa porzione società-tempo a interessare l’occhio dell’artista. Un occhio inquieto, a tratti tormentato, eppure ricercatissimo nel rendere d’armonia patinata e, ad un tempo, disorientante e interrogante le questioni messe a fuoco opera per opera: l’identità, la violenza, il piacere, la corruzione. Altro ancora. Un caleidoscopio di temi, ricorrenti nell’espressione artistica, che trovano qui come minimo comun denominatore una questione morale. Questioni morali risolte ponendo domande, offrendo uno sguardo individuale, mai costruendo opzioni moralistiche o proponendo verità. Qui non c’è verità, c’è un’immagine impossibile del reale. Uno specchio deformante che tende ad armonia assonante piuttosto che a torcere, ridurre o slargare in modo volgare. La dissonanza sta nel ricomporre con la realtà circostante, sta nell’occhio di chi guarda. La volgarità, se qualcuno la ravvisa, è nel tempo odierno degli uomini. Nella mercificazione dei corpi e delle passioni, altri temi che tracciano l’opera d Zerah.


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